giovedì 19 giugno 2008

CASE CHIUSE, CASO APERTO

Cari tutti
dopo parecchio tempo torno ad occuparmi di questo blog.
Oggi vi propongo una riflessione dell'Osservatore Romano, datata 18 Giugno, sul tema scottante della prostituzione, preceduta da una breve sintesi del dibattito in corso. Buona lettura.


CRONISTORIA: Qualche tempo fa La Destra ha presentato una proposta di legge per regolamentare la prostituzione; in seguito, Daniela Santanchè, già candidato premier per lo stesso schieramento, ha proposto di tenere un referendum con lo scopo di riaprire le c.d. "case chiuse".


Reazioni a catena: critico il Ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, mentre l'ex Ministro dell'interno Giuseppe Pisanu definisce la proposta "aberrante" perchè attribuisce "unilateralmente alle prostitute di strada il presunto reato contro la sicurezza e la moralità pubblica, assolvendo a priori i loro clienti". Il suo successore al Viminale, Roberto Maroni raccoglie invece la provocazione dei relatori e propone di creare "eros center", con lo scopo di arginare il fenomeno. A questo punto interviene il Vice-Presidente della Camera, Maurizio Lupi (Pdl):«In tutti i Paesi del mondo questi quartieri sono simbolo di degrado. Lo Stato non può avallare lo sfruttamento della prostituzione, significa non rispettare la persona». Voci contrarie pure da numerosi espondenti del Pd, e curiosamente, anche dal leader de "La Destra", Francesco Storace, che paragona le "case chiuse" alle narcosale. A dimostrazione della trasversalità del tema.



Mercificazione della persona
No alla rassegnazione

di Giovanni Paolo Ramonda
Responsabile generale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Nel terzo millennio la mercificazione della persona è un fenomeno ancora da combattere, di fronte al quale, come affermava Papa Giovanni Paolo II “non possiamo restare impassibili e rassegnati”. Lo sfruttamento sessuale delle donne è la diretta conseguenza di sistemi ingiusti dove le vittime per migliorare le proprie condizioni di vita o semplicemente per sopravvivere diventano facile merce di scambio per trafficanti senza scrupoli. Don Oreste Benzi, fondatore dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che ha combattuto il drammatico fenomeno e restituito la libertà ad oltre seimila ragazze, sosteneva che “nessuna donna nasce prostituta, ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare”. La globalizzazione, l’aprirsi delle frontiere europee ai Paesi dell’est, la maggiore possibilità di circolazione hanno incrementato il fenomeno dell’immigrazione verso un occidente più ricco, più ammiccante per chi volesse attingere al benessere in modo rapido. Pertanto intermediari e sfruttatori hanno organizzato veri e propri racket ad opera delle donne più indifese alimentando un incremento di violenze ed efferatezze. Giovanni Paolo II affermava “è ora di condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che non di rado hanno per oggetto le donne”. E Benedetto XVI faceva propria la condanna già espressa dal suo predecessore nella lettera alle donne del 29 giugno 1995 sul sistematico sfruttamento della sessualità sostenendo la necessità di un programma di redenzione e di liberazione ai quali i cristiani non potevano più sottrarsi. In effetti il dibattito sulla questione sta interessando vari governi. E divampano con vasta risonanza mediatica le diatribe sulle soluzioni cui pervenire. Sconcerta la tesi di coloro che pensano di poter risolvere il problema circoscrivendolo ad aree urbane a luci rosse o dando il mercificio in gestione a delle cooperative. Ci si domanda come si possa pensare di contrastare un male delimitandolo geograficamente o regolamentandolo con opportune norme. Anche il furto è un male e così tante altre forme di sopruso che negano il senso del prossimo, ma non si è mai pensato di combatterle disciplinandole o regolarizzandole perché queste possano acquisire parvenze di legittimità. Le soluzioni prospettate contrastano poi con la necessità di ricostruire un tessuto valoriale, del quale da più parti si lamenta la spaventosa carenza, indispensabile per consentire ai giovani la crescita in una società più sana e meno ipocrita. Ci si chiede inoltre come sia possibile far passare per legittimo ciò che è espressione di mero possesso della persona ridotta ad oggetto, di offesa della dignità e della libertà delle coscienze. Una cosa ingiusta rimane tale aldilà delle situazioni che condizionano l’atto. Ci si chiede infine perché non si pensi alla qualità della vita che sarebbe riservata alle “prostitute legalizzate” e alle loro famiglie. Il rispetto per il prossimo non è soltanto la regola fondante della nostra religione, ma un’imprescindibile conquista sul piano della cultura e della civiltà. È quindi assolutamente determinante che i governi diano vita a strumenti legislativi appropriati che consentano la repressione del fenomeno colpendo i responsabili del racket, inasprendo controlli e pene. Uno stato attento e accorto deve essere vigile nella salvaguardia del bene comune se vuole promuovere la reale crescita umana e culturale dei suoi cittadini, non soggiacere a ipocrite e affrettate soluzioni di problemi, utili solo ai soliti “furbi”, privi di scrupolo. Uno stato moderno deve combattere il male che va estirpato e sanzionato. La prostituzione non è, come alcuni sostengono, l’incontro tra due libertà: quella tra la donna schiavizzata e il suo cliente, perché l’unica libertà possibile è quella di fare il bene. Per concludere con lo spirito di colui che ci ha guidati, don Oreste Benzi, ripetiamo che le donne schiavizzate dalla prostituzione non vanno consolate, né mantenute, vanno liberate.

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